Ecco un argomento che mi sta  particolarmente a cuore! Quello della disoccupazione che diciamocela tutta, tocca un pò tutti noi, freelance creativi che ci siamo rimboccati le maniche e un lavoro ce lo siamo inventati! Il pezzo è stato scritto per mediterranea.eu, magazine online di cultura mediterranea che questo mese si è interamente dedicato all’argomento disoccupazione.

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Disoccupazione nell’era del web

Quando mi hanno presentato per la prima volta un modem che avrebbe connesso me e il mio pc al mondo, non avevo dubbi sull’utilizzo che ne avrei fatto: comunicazione, anche se allora la chiamavo piuttosto chat, svago, divertimento. Lo scopo era comunque quello di tenermi in contatto, di conoscere, di scoprire, per dirla in una parola di comunicare!

Non che oggi il web abbia smesso di divertire, eppure le sue funzioni si sono dilatate in maniera esponenziale, tanto che sfido chiunque a ricordare la vita che conduceva prima di internet, prima di Google, prima di Wikipedia, addirittura prima di Facebook e Twitter. Un cambio radicale non c’è che dire, e probabilmente fra qualche decennio se ne potrà analizzare la reale portata, ma oggi siamo qui per capire piuttosto quanto il web abbia cambiato il mondo del lavoro e in quale dose aiuti nella bonifica di quella grande palude che è la disoccupazione.

Non ci piove: dopo aver causato un’iniziale e transitoria eliminazione di figure oramai obsolete e sostituibili, internet è riuscito a creare nuove professioni, nuove mansioni e innumerevoli nuovi posti di lavoro, avvantaggiando gli impieghi da remoto e consentendo all’utente di sentirsi al centro del mondo solamente avviando il proprio computer. Ha decontestualizzato il lavoro dal classico ufficio, permettendo che venisse svolto un po’ ovunque, ha creato flessibilità di orari, ha consentito a tutti di dire la propria, ha aumentato il tempo libero dei lavoratori che sfruttano il canale. Che poi gli Stati abbiano saputo sfruttare le potenzialità del web, questa è tutta un’altra storia.

Eppure di effetti collaterali, connessi al mondo del lavoro online, ce ne sono, creati non tanto dal web, quanto piuttosto dalla tendenza a svalutare il costo del lavoro e da imputare alla gestione scorretta della crisi economica da parte degli  Stati e delle classi politiche.

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D’altronde il problema della dipendenza da web e del workalcholism è ad oggi relativo (beato chi c’è l’ha un lavoro che crei dipendenza); i pericoli più gravi hanno piuttosto carattere sociale. Ricordate le domeniche con in vostri genitori trascorse a pranzo dai nonni o in gita in campagna? Bene, vostri figli probabilmente non ne sapranno nulla! Oggi la domenica non è più santa e di riposo, i supermercati sono aperti e i genitori portano i propri figli non già al mare ma all’Auchan o alla Carrefour, o da Ikea. E questo è solo l’inizio dato che sono mosche bianche i giovani che possono permettersi il lusso di sognare un futuro fatto di mutui e case di proprietà, d’altronde quali banche investirebbero su un freelance a progetto? Poi c’è tutta la questione al femminile,  di donne messe davanti alla scelta: disoccupazione o famiglia?

Donne freelance

Mettere una donna davanti ad una scelta del genere farebbe ribrezzo a qualsiasi Stato che si vanti di definirsi civile, ma no, non pare spaventare la classe politica d’Italia.

I dati sono stati raccolti da Nuova Informazione e messi in immagine. Mostrano sotto la lente d’ingrandimento la vita di 601 giornaliste (in gran parte freelance) della Lombardia. La ricerca evidenzia, fra i tanti altri, un dato interessante: la famiglia è un lusso, e oggi le donne non se lo possono più permettere, per lo meno il 70% delle intervistate che conferma la forte influenza che il proprio lavoro ha avuto nella scelta di formare o non formare una famiglia.

A demotivare soprattutto il tempo libero che non c’è e che si dovrebbe invece dedicare al figlio e alla famiglia, la totale assenza di stabilità, che molte sanno non raggiungeranno mai, la consapevolezza che quello non sia il momento giusto per creare una famiglia e che probabilmente il momento giusto non arriverà. Tutte paure che bloccano sul nascere il desiderio di vestire i panni della mamma in carriera.

Che le cose stiano cambiando inoltre lo dimostra una sentenza che ha tolto l’affidamento dei figli ad una madre giornalista freelance in quanto priva di tempo libero da dedicare ai propri figli (notizia ansa).

#NoFreeJob: l’idea che da vita alla community

E poi c’è tutto il problema del lavoro svalutato: si insinua nella testa dei più giovani che il lavoro sia lavoro pur senza che sia retribuito, che gli stage (rigorosamente a gratis) siano l’unico modo per trovare un impiego, che pur di portare a casa qualche soldo, sia bene lavorare anche se fortemente sottopagati. Insomma il costo del lavoro è inflazionato, e nessuno pare intenzionato a far niente. Nessuno ad eccezione del web.

Conoscete Twitter? Bene allora dovete assolutamente far la conoscenza dell’hashtag #nofreejobs che permette non sono ai lavoratori “flessibili” di far community, ma anche e soprattutto di mettere in evidenza le offerte di lavoro ridicole, come ad esempio quella di una società editoriale disposta a pagare 50 cent per post, per un totale di una pizza in ristorante dopo un mese e mezzo di lavoro.

Tra un cinguettio ed un altro si è arrivati a parlare di quinto stato fatto di lavoratori privi di qualsiasi tutela giuridica, un mondo ancora sommerso e purtroppo non coeso.

La carta di Firenze per i freelance poteva scegliere momento migliore per essere approvata?

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E tu?

Hai qualche link utile da segnalare, qualche articolo che potrebbe essere importante leggere, o un’opinione che devi assolutamente condividere? Siamo qui per questo!

Photo Credit: Sean McCabe

Di Claudia Zedda

Sono una scrittrice cagliaritana, web content, laureata in lettere moderne con indirizzo socio antropologico, ricercatrice indipendente e creativa cronica. Ho pubblicato due saggi tutti incentrati sulla tradizione sarda (Creature Fantastiche in Sardegna ed Est Antigoriu), un romanzo (L'Amuleto) e oltre ad esserefreelance.it gestisco il sito www.claudiazedda.it, www.bottegakreativa.it e www.koendi.it Visitali per conoscermi meglio!

10 commenti a “Freelance, web e disoccupazione”
  1. Ciao Claudia, ti ho scoperta da poco, ma sono già una tua grande affezionata.
    Devo ammettere che il tema affrontato in questo post mi colpisce personalmente. Lavoro presso un’azienda e nel frattempo faccio dei lavoretti extra. Vorrei intraprendere anch’io l’attività di freelance ma mi manca il coraggio e la disponibilità economica. Ormai imbarcarsi in questa avventura, soprattutto per una donna e in questi tempi, è un’impresa sempre più difficile. Spero di riuscirci anch’io prima o poi.
    Buona serata!

  2. Ciao Valeria, grazie mille!
    L’argomento tocca molti di noi purtroppo! Potresti iniziare la tua attività freelance nei momenti “buchi” di poco lavoro e vedere come va. Se le cose iniziano a girare bene per davvero potresti a quel punto decidere per una rottura netta! Vivere una vita da freelance è molto gratificante, ma non fa al caso di tutto. Il mio consiglio è quello di tentare… quasi mai nuoce. A presto e naturalmente in bocca al lupo!

  3. Ottimo articolo Claudia, condivido in pieno. Purtroppo credo che questa condizione si verifichi per il semplice fatto che il web si evolve molto più rapidamente di quanto non faccia la classe politica composta da politici attempati e l’economia ne approfitta. Quello che mi fa paura veramente è la svalutazione del lavoro, argomento che spesso colpisce anche me, nonostante non sia proprio un novellino.

  4. Si c’è una disparità fra l’evoluzione della comunicazione e l’involuzione della classe politica davvero sorprendente, ma il web se ben sfruttato, suppongo ci possa aiutare a rimanere a galla. Spaventosa la svalutazione del lavoro, spaventosa l’idea che si sta diffondendo a macchia d’olio, che se si lavora per passione, si possa farlo anche gratuitamente. Temo che sia un argomento che tocchi per primi i giovani che vivono di scrittura. Da mettere i brividi! Grazie Andrea per il tuo contributo e in bocca al lupo per tutto!

  5. Ciao Claudia, ho scoperto il tuo interessante sito tramite un tuo post sulla pagina FB di nomadi digitali. Avendo molto tempo libero causa disoccupazione, sto tentando anche io la via del freelance. Ho fatto già qualcosa ma tutto gratuitamente, per alcuni amici. Adesso mi sono un pò stancata di questa situazione e vorrei iniziare qualcosa di serio ma il problema iniziale per me è…come trovo i clienti? tramite sito web personale? il passaparola? o cosa? basterebbe tutto ciò? è questa la mia preoccupazione principale.
    Ciao!

  6. Bel post, credo però che il motivo del non farsi una famiglia per tante donne sia una accresciuta consapevolezza, loro e dei loro partner, e non solo l’instabilità lavorativa.

    Se parli con donne oltre gli ottanta ti dicono che ai loro tempi ci si sposava perché si, perché era così, come altro doveva essere… ed i figli: “beh, se non hai figli che ti sei sposato a fare, se non hai figli che senso ha la tua vita”.

    E come facevate a dar da mangiare anche a 3-4, cinque figli? Erano i tempi del dopoguerra, c’era la fame, poi è arrivata l’emigrazione degli anni ’60, non era facile, come facevate? “Eh, beh, in qualche modo si faceva, quasi tutti i giorni, quasi…”.

    Prima la famiglia ed i figli erano un obbligo sociale e misura del proprio valore come persona nella società. Un uomo che uomo era se non aveva saputo farsi una famiglia, una donna che donna era se non aveva nemmeno saputo trovarsi da maritare e aver dato alla luce qualche figlio. Ci si buttava e basta, poi in qualche modo si sarebbe andati avanti.

    Quel 66,9% di donne che dichiarano di aver avuto ripercussione sulla famiglia o sulla decisione di averne una dal fatto di essere freelance, è un segno di accresciuta consapevolezza femminile. Certo, preso atto di questo fatto positivo, il problema lavoro resta.

    E c’è una cosa che non mi torna del video sui dati raccolti da Nuova Informazione.
    Al minuto 5:40 la schermata dice che nel tempo dedicato alla cura familiare il 70% delle intervistate si occupa del marito/compagno; nella schermata successiva “chi ti aiuta maggiormente a conciliare famiglia e lavoro” il 45% dice il partner. Ma allora questo partner è fonte di aiuto o di ulteriori impegni?

  7. Ciao Claudia, sono felice tu abbia scoperto esserefreelance e spero le informazioni che ci troverai “dentro” ti possano essere utili. Ovviamente è fondamentale avere un sito – vetrina, ma è anche importante il passa parola e la frequentazione dei forum di settore. Quel che davvero serve è tanta passione, pazienza e costanza. In bocca al lupo per il tuo futuro! A prestissimo!

  8. E’ un problema di difficilissima analisi, che non appartiene a noi solamente come Italia o come Europa, ma che è sentito fortemente anche oltre Oceano. Prima della ricerca riportata, ne ho letto diverse americane, particolarmente interessanti. Il disagio è sintomo dei tempi che cambiano e noi ci troviamo a dover cavalcare l’onda, con la speranza di non perdere l’equilibrio. Spesso tutto questo coincide con l’impossibilità ad avere una famiglia. Ma dato che la società come io la conosco è strutturata sul nucleo famiglia, mi domando, verso che futuro stiamo navigando?
    Ovviamente grazie per il tuo commento particolarmente stimolante 🙂 L’argomento è da approfondire. Magari il prossimo sondaggio sarà proprio su questo 😉 Buona Domenica!

  9. La chiamo “accresciuta consapevolezza”, la chiami “disagio, sintomo dei tempi che cambiano”, sospetto si tratti della stessa identica cosa. Perché una maggiore consapevolezza inizialmente può portare disagio, un po’ come lo svegliarsi al mattino ci toglie dalla “zona confortevole” del tepore del letto per portarci nel disagio di una casa fredda, il caffè da metter su, i pensieri sulle cose da fare per oggi, la settimana che abbiamo davanti.

    Mi piace molto l’immagine del cavalcare l’onda, vedo la vita come una grande onda e noi ad imparare come “surfarvi” su. Dove arriveremo surfando in questo modo? Con la società attuale strutturata sul nucleo famiglia una direzione è già stata presa, la famiglia allargata.

    Ma è solo l’inizio. Ho la sensazione ci si svincolerà sempre di più dalla famiglia biologica per andare sempre di più verso una famiglia di “affinità”, una famiglia in cui conta più la sintonia fra i suoi componenti che non le relazioni di sangue. Una famiglia non più ancorata in una forma fissa e definitiva, ma che nasce, cresce, cambia, si adatta.

    Una transizione che credo sarà più facile per un uomo che per una donna, non fosse altro per il potente imprinting culturale “del farsi una famiglia” a cui è ancora sottoposta, oltre al fatto di avere una biologia che ad un certo punto “chiama”; così mi dicono. 🙂
    Per ora la soluzione è stata quella di posticipare molto più avanti negli anni questo chiamata, ma posticipa oggi posticipa domani…

    Staremo a vedere; per ora buona settimana!

  10. Da antropologa culturale quale sono, non posso che essere convinta dell’indispensabilità del nucleo familiare come base, costituito da principi biologici o di affinità. Si, anche la mia sveglia ancora non mi ha chiamato, ma sarebbe bello vivere in un angolo di mondo in cui a chiamata (di tal genere) corrisponda una risposta immediata. A presto e buon inizio di settimana a te!

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